Giustizia per Noxolo Nagwaza

Si chiamava Noxolo Nogwaza e aveva 24 anni. Era una donna, una madre, una lesbica. “Era” perché il 24 aprile del 2011, Noxolo Nogwaza è stata assassinata mentre tornava a casa dai suoi due figli (9 e 5 anni) dopo aver trascorso la serata in compagnia di alcune amiche. L’hanno stuprata, picchiata ripetutamente e accoltellata e poi hanno scaricato il suo corpo ormai senza vita in un canale di scolo. Ha la testa rotta, fracassata, il volto praticamente irriconoscibile e a fianco al suo corpo qualche dente e un preservativo usato. Il motivo? Era lesbica, era lesbica a KwaThema, un sobborgo a est di Johannesburg nella provincia di Gauteng in Sud Africa e si batteva contro le discriminazioni nei confronti della popolazione Lgbtqi partecipando attivamente anche all’EPOC, il comitato organizzativo dell’Ekurhuleni Pride. Uno stupro “correttivo” e punitivo in una società e in un paese in cui – nonostante la Costituzione condanni e punisca le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale, dal 30 novembre 2006 sia legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso (primo paese africano) e dal 2002 le coppie omosessuali possono adottare bambini – i crimini e le aggressioni a movente omo-lesbo-transfobico non sono una novità. Stupri, pestaggi e in alcuni casi omicidi dettati dall’odio, dalla misoginia e dall’ignoranza. Stuprare donne lesbiche – o presunte tali – per correggerne la natura, perché “guariscano dalla loro malattia”. Negli ultimi cinque anni – denuncia Amnesty International – i casi di donne lesbiche stuprate e poi uccise nei sobborghi di differenti zone del Sud Africa sono stati almeno dieci. Sette, invece, le persone assassinate per crimini di odio omo-lesbo-transfobici fra giugno e novembre 2012. Una “caccia alle streghe” che colpisce le donne in quanto donne e in quanto lesbiche. L’omicidio di Noxolo, come altri, è al momento impunito. Le indagini, affidate al commissariato di Tsakane, non hanno avuto alcun esito. Gli assassini sono ancora ignoti e ancora liberi e impuniti. “Un omicidio è un omicidio”, ha dich iarato il portavoce della polizia, Zweli Mnisi, negando quindi ogni forma di movente omofobico. “Per noi, un omicidio è un omicidio, che la vittima sia Zulu, inglese, maschio o femmina – non guardiamo il colore, non guardiamo il genere”. Esattamente come nel caso di Eudy Simelane, giocatrice dello Springs Home Sweepers F.C. e capitano della nazionale femminile sudafricana di calcio, uccisa con 25 coltellate al volto, al seno, alle gambe e all’inguine a KwaThema il 28 aprile 2008 dopo uno stupro correttivo. “L’orientamen­to sessuale della vittima non ha rilevanza nel caso”, ha dichiarato la magistratura.