Da il Gazzettino.it


Martedì 20 Dicembre 2011,
Un passato difficile, che vede come ingredienti anche l’alcol e il carcere per alcuni reati, una vicenda complessa, costellata di carte bollate. Oggi un quarantenne tunisino residente a Udine è al Cie di Gradisca, dove è entrato il 15 dicembre scorso, e rischia l’espulsione. C’è un decreto che la dispone. Ma per lui, che si dichiara omosessuale e convertito dall’Islam alla fede cristiano-evangelica, essere rimpatriato sarebbe «la peggior condanna», come ha scritto lui stesso in un testo di ottobre scorso. «Ho sbagliato, ho pagato e sto ancora pagando. Cosa devo fare ancora per essere risparmiato da tutte le umiliazioni che mi aspettano se tornerò al mio Paese? Accetto la mia condanna, se mi sarà permesso di vivere qui; ma se proprio dovete condannarmi, vi chiedo di non mandarmi via: sarebbe la peggior condanna», ha scritto. «Il mio obiettivo - ha messo su carta - è di finire la mia cura, il mio programma di recupero. Sono tornato in Friuli e in Italia per questo».
Le persone che gli sono vicine, convinte che il ritorno in Tunisia per lui sarebbe rischioso, lanciano un appello chiedendo che non venga rimandato in patria «fino a quando non ci sarà la decisione finale della Corte di Cassazione, a cui è stato fatto ricorso contro la revoca del permesso». Qualche mese fa, infatti, la Corte d’appello di Trieste ha annullato la sentenza con cui qualche mese prima il Tribunale gli aveva concesso un permesso di soggiorno umanitario, che il tunisino aveva chiesto dicendo che, se fosse tornato nel suo Paese, sarebbe stato perseguitato perché omosessuale. Secondo la Procura di Trieste (che aveva impugnato il pronunciamento), però, la sua omosessualità sarebbe solo presunta e non nota in Tunisia e quindi non lo esporrebbe a nessun pericolo.
Saltata la "copertura" assicurata dal permesso, si è arrivati all’attuale epilogo, che vede il tunisino a Gradisca e un suo caro amico a lottare a Udine con tutte le sue forze, per cercare di evitarne il rimpatrio. L’amico sostiene che il tunisino chiede «di poter proseguire il suo impegno nel dare una stabilità alla sua vita, prospettiva di riscatto che ha trovato per la prima volta proprio in questo ambiente sociale». E, a dimostrare che risultati abbia ottenuto, l’amico cita le parole messe su carta da chi lo ha in cura nelle strutture sanitarie, da chi lo segue negli studi per raggiungere la licenza media, da chi lo ha visto lavorare in ristorante e da chi lo ha seguito nel suo percorso di fede, nella chiesa evangelica.
Della vicenda si è interessato anche il Comune di Udine. Anche recentemente c’è stato un incontro su questo tema, in cui è stato esaminato il caso del quarantenne nordafricano. Come spiega il sindaco, Furio Honsell, «abbiamo approfondito con la Questura la vicenda che riguarda quest’uomo, ma purtroppo non c’erano margini per poter intervenire, in quanto comunque la sentenza è stata pubblicata». Honsell rammenta che «abbiamo cercato di seguirlo con il nostro Ufficio stranieri, ma la legge va rispettata. Non l’abbiamo neanche applicata noi. Siamo dispiaciuti che questo sia l’esito del percorso, però, se questo è l’esito dell’applicazione della legge, alla legge bisogna sottostare».
Cdm