Ricatto al gay palestinese

Amira Hass

Mentre il mio interlocutore raccontava la sua storia, un pensiero sgradevole
si è fatto strada nella mia mente. Stavo approfittando dell'innocenza di questo
ragazzo, del suo disperato bisogno di parlare con qualcuno che non lo consideri
malato? D è gay. Qualcosa che nella società palestinese non può essere
confessato.

D ha incontrato G, il suo amico israeliano, su internet. G lo va a trovare
regolarmente, ma D non può ricambiare le visite. I due avevano un sogno:
trascorrere alcuni giorni insieme in Israele. Così D ha ottenuto un permesso
per entrare in Israele ed effettuare alcune analisi in un'ospedale di
Gerusalemme Est. G lo aspettava oltre il checkpoint. I due hanno camminato
insieme verso la porta di Jaffa, inebriati dalla sensazione di libertà e dal
piacere di stare insieme senza nascondersi. Davanti alla porta di Jaffa alcuni
poliziotti israeliani hanno fermato i due ragazzi. Il nervosismo di G li ha
insospettiti. Hanno controllato il permesso di D, che non li ha soddisfatti.
Doveva andare in ospedale, e quella non era la direzione giusta. D è finito in
una stazione di polizia. Lì, ingenuamente, ha detto la verità. A quel punto gli
hanno fissato un appuntamento con un agente dei servizi segreti.

Il ricatto ai gay palestinesi è una pratica comune, da parte sia dei servizi
israeliani sia di quelli palestinesi. Sono facili prede, perché se scoperti
rischiano di essere puniti o uccisi. È stato un attivista gay israeliano a
contattarmi, perché la pubblicità è il migliore strumento di protezione.

Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 950, 25 maggio 2012. Fonte: http://www.internazionale.
it/opinioni/amira-hass/2012/05/28/ricatto-al-gay-palestinese/
Pubblicato da Simone Rossi