Senegalese gay ottiene status di rifugiato politico

(IN QUESTO ARTICOLO DE L'ARENA, LA STORIA E' RACCONTATA IN MODO POCO PRECISO E NOI NON SIAMO MENZIONATI. SI TRATTA DI UN CASO CHE HA SEGUITO LO SPORTELLO MIGRANTI LGBT, E DI CUI SIAMO MOLTO FELICI! L.B.)

Giampaolo Chavan

Verona. Il giovane senegalese non poteva che trovare nella città dell'amore il lieto fine delle sue traversie. A partire dal padre che voleva lavare l'onta di un figlio gay con il sangue. A continuare con il suo paese, il Senegal, che punisce fino alla morte «chiunque commetta un atto... con un individuo dello stesso sesso», recita l'articolo 319 del codice penale dello Stato africano. Da pochi giorni per il nuovo veronese, le sue vicissitudini, vissute fino a poche
settimane fa, rimarranno un ricordo. Un brutto ricordo. La sua vita ha aperto un capitolo nuovo grazie alla convivenza con un giovane veronese. Ha fatto fatica a dichiarare la sua tendenza omosessuale, racconta il ricorso del suo legale, l'avvocato di Ravenna, Andrea Maestri. L'ha detto quando si è trovato sul precipizio della disperazione. Una sentenza del giudice di pace parlava chiaro: doveva tornare in Senegal. Era un clandestino e le leggi italiane non fanno sconti: se non hai un permesso di soggiorno, il tuo destino è segnato.
Tornare a casa, voleva dire per lui rischiare la morte. Lo dice anche il Ministro dell'interno. Lo scrive nella decisione della commissione per il riconoscimento della protezione internazionale di Gorizia. Proprio perché gay nel suo paese, recita il provvedimento, «sarebbe sicuramente condannato e in carcere gli potrebbe succedere di tutto anche di essere ucciso». Alla luce
anche di questa considerazione e della convenzione di Ginevra, la commissione non ha avuto dubbi e gli ha riconosciuto lo status di rifugiato politico. Fine dei tormenti. Stop alle paure dei controlli di polizia e carabinieri. E semaforo verde al suo nuovo amore veronese. È una storia da romanzo quello del giovane senegalese. È partito dal suo paese nel 2009 con visto turistico per la Spagna. In realtà, voleva andarsene per sempre dalla sua casa. Sapeva che
nessuno nel suo paese poteva tollerare la sua attrazione verso le persone dello stesso sesso. Voleva venire in Italia. A Roma, c'era il figlio della prima moglie di suo padre. Nel frattempo, in Senegal si è venuto a sapere che lui era gay. Ed è scattato il ripudio dei famigliari. Non l'avrebbero mai accettato, lui l'ha capito subito. Li ha anche contattati e loro gli hanno fatto sapere che non lo volevano più vedere. È iniziato così il suo calvario. Ha lasciato
Roma. Ha così iniziato a viaggiare lungo lo Stivale. Da clandestino. A Rimini e poi a Ravenna. E sono fioccati i decreti di espulsione. Il primo il 26 luglio 2010 a Rimini. Poi, inesorabile, è arrivata la sentenza del giudice di pace. Che, alla fine, riportava la parola-incubo: espulsione. «Il coming out come persona omosessuale», scrive il legale nel ricorso, «è maturato faticosamente».
È stato il suo compagno veronese a spronarlo, a insistere perchè raccontasse, scrivesse alle autorità la verità. Che lui era gay, che se tornava in Senegal, la sua vita avrebbe assunto i contorni di un perimetro di una cella, che suo padre lo voleva uccidere. Che là, come purtroppo capita a volte anche qui in riva all'Adige, essere omosessuali è una vergogna. Da non dire a nessuno. E lui ha ceduto. Si è rivolto ad un legale. Ha spiegato e raccontato. È partito poi il ricorso, depositato il 25 novembre scorso in questura a Verona, la città dell'amore per antonomasia, di Romeo e Giulietta che ha così accolto un giovane discriminato. E pochi giorni fa la risposta del ministero dell'interno: «Sei un rifugiato politico» è stata la sentenza. Vuol dire che il senegalese può vivere qui. Che gli sono stati riconosciuti finalmente i diritti. I suoi diritti.
Anche quello di vivere un amore con il suo compagno.




Fonte: L'ARENA
Pubblicato da Lorenzo Bernini