http://www.ilgrandecolibri.com/2012/07/pestaggi-omofobia-torino.html

Pestaggi omofobici a Torino, tra i rom c'è chi reagisce

massimo ankor (CC)

"Entrano nella mia roulotte, se lo tirano fuori e mi dicono di succhiarli se
non voglio le botte". La prima volta che ha sentito questa storia, Valter
Halilovic, mediatore culturale e animatore della comunità rom di Torino, quasi
non ci voleva credere. Ma, nel corso delle ultime settimane, le testimonianze
di minacce e violenze ai danni di omosessuali e bisessuali all'interno della
comunità rom sono diventate più numerose e gravi. Halilovic ha deciso di
denunciare la situazione dopo che l'altroieri notte sono stati diagnosticati
quattordici giorni di prognosi ad un amico che aveva accompagnato al pronto
soccorso: lo avevano ripetutamente colpito in testa con i pugni avvolti in
catene di ferro. "E ad altri è andata anche peggio, con un mese di prognosi. Se
va avanti così, ci scappa il morto" racconta Halilovic a Il grande colibrì.

La banda di violenti sarebbe composta da ragazzi del campo nomadi "Aeroporto".
"Hanno dai 25 ai 32 anni, girano in cinque-sette alla volta, colpiscono membri
della comunità sia nel loro campo sia nel campo di via Germagnano". Il gruppo
avrebbe iniziato le proprie scorribande violente circa un anno fa, quando uno
di loro è uscito dal carcere. Le loro vittime, tutte rom, sono "i più
disgraziati, quelli che non possono reagire", racconta ancora il mediatore
culturale: tra di loro sembra ci siano anziani, disabili, intere famiglie che
vengono malmenate, senza che siano risparmiati né i bambini piccoli né le
donne. Halilovic ha raccolto in particolare le testimonianze dirette di tre
omosessuali e di un bisessuale.

Uno di questi ragazzi, dopo essere stato più volte picchiato e derubato, dopo
che la banda gli ha distrutto l'automobile e l'ha costretto ad abbandonare la
casa faticosamente conquistata, è fuggito da Torino e spera di non essere più
rintracciato dai suoi aguzzini. Gli altri tre vivono in una situazione
angosciosa di costanti angherie. Solo in due, però, hanno sporto denuncia alle
autorità: se in un caso il processo non si è ancora aperto, nell'altro il
giudice ha vietato ai componenti del gruppo di avvicinarsi alla loro vittima.
Ovviamente, purtroppo, il divieto non è stato mai rispettato: "A questi non
gliene frega niente delle autorità".

La mancata applicazione delle sentenze penali, tuttavia, spiega solo in parte
perché gli altri due ragazzi angariati non abbiano sporto denuncia: i loro
timori sono tanti, da quello di vedersi rovinata la reputazione rivelando il
proprio orientamento sessuale alla possibilità di ritorsioni contro se stessi o
contro le proprie famiglie. E alla mancanza reale o percepita di tutele legali
(l'assenza dell'aggravante di omofobia per i reati è spesso sentita dalle
vittime come una manifestazione di disinteresse dello stato) si aggiunge il
silenzio della propria comunità: "Tutti sanno tutto, persino nelle comunità rom
di origini bosniache delle altre città, ma nessuno fa niente. Quelli della
banda appartengono a famiglie molto numerose e potenti e la fiducia nello Stato
è molto bassa".

La situazione, insomma, è complessa. Per ragioni contestuali, con le forze
dell'ordine che, purtroppo, appaiono molto più impegnate negli inumani sgomberi
fatti a scopi mediatici ed elettoralistici che in attività di integrazione. E
per ragioni interne alla cultura rom, perché, come spiega Halilovic, "la
comunità non ti dà nessuno spazio per ribellarti". E allora cosa possono fare
queste persone sole, che non sanno più cosa fare e dove andare? Dopo averne
parlato con loro, il mediatore culturale ha deciso: "E' tempo di parlare. E
abbiamo scelto Il grande colibrì, perché magari gli altri media avrebbero
puntato tutto sul sensazionalismo". I rom sanno bene quanto le loro storie,
quando finiscono nelle mani di un giornalista, possano essere usate non per
risolvere problemi, ma per diffondere paura ed emarginazione...

E invece questa storia è piena di violenza, ma è anche un esempio importante
di volontà di non stare più a tacere e di cambiare in meglio il proprio e
l'altrui destino, come riconosce anche Paolo Hutter, giornalista e attivista
gay da sempre attento anche al contrasto del razzismo: "Valter Halilovic è una
figura nuova, che prende parola senza paura contro la violenza e l'omofobia. E'
un esempio di come si possono promuovere i diritti all'interno delle minoranze
etniche: mantiene salda la solidarietà con la propria comunità, ma non accetta
che diventi omertà".

Ora dobbiamo dimostrare tutti che davvero i diritti sono universali, che la
loro violazione non può essere intesa come un problema di un gruppo nel quale
non ci si riconosce, ma invece ci riguarda tutti personalmente. Hutter è
ottimista: "Con le sue strutture comunali, con la sua società civile, con le
sue associazioni, Torino saprà rispondere nel migliore dei modi". Coinvolgendo
positivamente, si spera, l'intera comunità rom.

Fonte:
Pubblicato da Lorenzo Bernini